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Abstract. I giudici della Consulta hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.230 bis cc nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto.
La sentenza n. 148 del 25 luglio 2024 della Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non include il convivente di fatto tra i soggetti che possono partecipare all'impresa familiare. Questa decisione estende ai conviventi di fatto le stesse tutele e prerogative patrimoniali e partecipative già riconosciute al coniuge e alla persona unita civilmente all’imprenditore.
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Normativa e precedenti giurisprudenziali
L'articolo 230-bis del Codice Civile italiano, introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975, disciplina i diritti patrimoniali dei familiari che collaborano nell'impresa familiare. Il testo originale recita:
Diritti del familiare nell'impresa familiare.
1. Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la propria attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
2. Non si computa nella quota di partecipazione agli utili il lavoro domestico.
3. Ai fini della gestione dell'impresa familiare, delle decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, delle decisioni relative alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa, si applicano le disposizioni sull'amministrazione della comunione legale.
4. Le deliberazioni adottate con la maggioranza dei familiari che prestano la loro attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare, comprese quelle concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, vincolano tutti i partecipanti alla impresa familiare, ancorché assenti o dissenzienti.
5. L'impresa è obbligata a osservare le norme sull'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e a versare i contributi previdenziali e assistenziali a favore dei familiari che prestano la loro attività di lavoro nell'impresa stessa.
6. Agli effetti delle leggi sui contratti agrari, il familiare che presta continuativamente la propria opera nell'impresa familiare è equiparato al coltivatore diretto.
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L'art. 230-bis ha subito diverse interpretazioni e modifiche nel corso degli anni, ma il suo principio fondamentale è rimasto invariato: proteggere i diritti dei familiari che contribuiscono con il proprio lavoro all'impresa familiare.
Nella riforma del 1975, l'articolo è stato introdotto per riconoscere e tutelare il lavoro prestato dai familiari nell'impresa familiare, in un periodo in cui il modello tradizionale di famiglia e impresa era ancora prevalente in Italia.
In seno alla giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha spesso interpretato l'articolo in modo da garantire una equa partecipazione ai profitti e agli incrementi patrimoniali dell'impresa familiare. Le sentenze hanno chiarito aspetti come la proporzionalità della partecipazione agli utili e l'importanza del contributo lavorativo effettivo e continuativo.
Negli anni, ci sono stati diversi tentativi di riforma per adeguare l'articolo alle nuove realtà socio-economiche. Tuttavia, l'articolo ha mantenuto la sua struttura di base, riflettendo l'importanza della protezione del lavoro familiare.
Con l'introduzione della Legge Cirinnà, che disciplina le unioni civili e le convivenze di fatto, si è discusso sull'applicabilità dell'art. 230-bis anche ai conviventi non sposati che lavorano nell'impresa familiare, ampliando ulteriormente il campo di applicazione della norma.
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L'art. 230-bis c.c. rappresenta un importante strumento di tutela per i familiari che lavorano nell'impresa familiare, garantendo loro una partecipazione agli utili e agli incrementi patrimoniali dell'impresa. Questo articolo riflette il riconoscimento del valore del lavoro familiare e contribuisce a garantire una maggiore equità all'interno delle dinamiche familiari e imprenditoriali.
Contesto e motivazioni
La questione è stata sollevata dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, in merito alla richiesta di una donna che voleva il riconoscimento della sua partecipazione all'impresa familiare del convivente deceduto. La Corte Costituzionale ha rilevato che la mancata inclusione del convivente di fatto viola diversi articoli della Costituzione italiana, in particolare:
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Articolo 2: diritti inviolabili dell’uomo.
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Articolo 3: uguaglianza davanti alla legge.
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Articoli 4, 35 e 36: diritto al lavoro e alla giusta retribuzione.
Implicazioni della sentenza
La sentenza stabilisce che i conviventi di fatto devono essere considerati allo stesso modo dei coniugi e degli uniti civilmente nell’ambito dell’impresa familiare. Questa decisione rappresenta un passo importante verso la parità di trattamento tra diverse forme di convivenza, riconoscendo ai conviventi di fatto i diritti e le tutele fondamentali previsti per i membri della famiglia. Infatti, le implicazioni pratiche sono:
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Riconoscimento giuridico: I conviventi di fatto ottengono un riconoscimento giuridico formale che garantisce loro diritti e tutele in ambito lavorativo e patrimoniale.
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Sicurezza economica: La sentenza contribuisce a garantire una maggiore sicurezza economica ai conviventi di fatto che partecipano all'impresa familiare.
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Parità di diritti: Promuove l'uguaglianza di diritti tra diverse forme di convivenza, riflettendo la diversità e la complessità delle famiglie moderne.
Precedenti della convivenza di fatto
Prima di questa sentenza, l'articolo 230-bis del codice civile non includeva i conviventi di fatto tra i soggetti che potevano partecipare all'impresa familiare. Questo comportava una discriminazione significativa, poiché i conviventi di fatto erano esclusi dalle tutele e dai diritti riconosciuti ai coniugi e agli uniti civilmente. La sentenza corregge questa lacuna, garantendo ai conviventi di fatto:
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Parità di trattamento: I conviventi di fatto sono ora equiparati ai coniugi e agli uniti civilmente in termini di partecipazione all'impresa familiare.
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Diritti patrimoniali: I conviventi di fatto possono ora beneficiare delle stesse tutele patrimoniali riconosciute agli altri membri della famiglia nell'ambito dell'impresa familiare.
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Tutela del lavoro: La sentenza garantisce che il lavoro prestato dai conviventi di fatto nell'impresa familiare sia riconosciuto e tutelato, evitando il rischio di essere considerato lavoro gratuito.
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Un punto di svolta cruciale sul tema è stato l'introduzione della Legge n. 76 del 20 maggio 2016, conosciuta come "Legge Cirinnà", che ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e ha riconosciuto le convivenze di fatto. Questa legge ha rappresentato un passo significativo verso il riconoscimento e la protezione delle famiglie non tradizionali in Italia.
Principali disposizioni della Legge n. 76 del 2016:
a) Unioni Civili: Introduzione di un istituto giuridico specifico per le coppie dello stesso sesso, con diritti e doveri simili a quelli del matrimonio.
b) Convivenze di Fatto: Riconoscimento delle convivenze stabili tra persone eterosessuali e omosessuali che vivono insieme in modo continuativo.
Evoluzione giurisprudenziale
Negli ultimi anni, la giurisprudenza italiana ha ulteriormente consolidato i diritti dei conviventi di fatto. La recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 148 del 2024) rappresenta un esempio chiave di come il diritto stia evolvendo per garantire parità di trattamento tra diverse forme di convivenza.
Aspetti salienti della giurisprudenza:
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Estensione dei diritti patrimoniali: Le sentenze hanno progressivamente riconosciuto ai conviventi di fatto diritti patrimoniali simili a quelli dei coniugi, specialmente in ambito di impresa familiare e eredità.
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Tutela del lavoro: La giurisprudenza ha sottolineato l'importanza di proteggere il lavoro svolto dai conviventi di fatto, evitando discriminazioni rispetto ai coniugi.
Statistiche e tendenze
Secondo l'ISTAT, il numero delle convivenze di fatto è aumentato significativamente negli ultimi anni. I dati mostrano che sempre più coppie scelgono di convivere senza sposarsi, riflettendo una crescente accettazione sociale e una maggiore autonomia nelle scelte di vita.​​
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Un'altra importante evoluzione in materia è quella introdotta dalla Legge Cirinnà sulle convivenze registrate.
La distinzione tra convivenze di fatto e convivenze registrate, come introdotte dalla Legge Cirinnà (Legge n. 76 del 2016), è fondamentale per comprendere i diritti e le tutele garantite a ciascuna forma di convivenza. Ecco una panoramica precisa delle differenze:
Convivenze di fatto
Le convivenze di fatto riguardano coppie, sia eterosessuali che omosessuali, che vivono insieme in modo stabile e continuativo senza essere sposate o unite civilmente. Ecco le caratteristiche principali:
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Registrazione: Le coppie conviventi di fatto possono registrarsi presso il comune di residenza, ma questa registrazione non crea un nuovo status giuridico; serve principalmente per accedere a specifici diritti e tutele.
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Diritti e doveri: I conviventi di fatto hanno diritto a:
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Assistenza sanitaria reciproca.
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Essere designati come rappresentanti in caso di malattia o incapacità.
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Alcuni diritti patrimoniali, come l'uso della casa familiare in caso di separazione.
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Contratti di convivenza: Le coppie possono stipulare contratti di convivenza per regolare i rapporti patrimoniali durante la convivenza e in caso di cessazione della stessa.
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Eredità: Non hanno diritti ereditari automatici, a meno che non vi sia un testamento che disponga diversamente.
Convivenze registrate
Le convivenze registrate non sono da confondere con le unioni civili. Anche le convivenze registrate riguardano coppie, sia eterosessuali che omosessuali, ma prevedono una formalizzazione della loro relazione con il Comune. Ecco le caratteristiche principali:
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Registrazione: Le coppie registrano la loro convivenza presso il Comune di residenza, il che conferisce loro un riconoscimento formale ma non crea un nuovo status giuridico simile a quello del matrimonio o delle unioni civili.
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Diritti e doveri: Come le convivenze di fatto, ma con una maggiore facilità di accesso ai diritti grazie alla registrazione formale. Ciò include:
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Assistenza sanitaria reciproca e diritti di rappresentanza in caso di incapacità.
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Diritti patrimoniali e di uso della casa familiare.
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Maggiore tutela in caso di separazione.
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Eredità: Anche per le convivenze registrate, i diritti ereditari non sono automatici e richiedono un testamento specifico.
Differenze principali
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Registrazione:
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Convivenze di fatto: Registrazione facoltativa, non crea uno status giuridico.
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Convivenze registrate: Registrazione formale presso il comune, conferisce un riconoscimento ufficiale.
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Diritti patrimoniali:
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Convivenze di fatto: Diritti limitati, necessità di contratti di convivenza.
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Convivenze registrate: Maggiore facilità di accesso ai diritti grazie alla formalizzazione.
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Eredità:
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Convivenze di fatto: Nessun diritto ereditario automatico senza testamento.
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Convivenze registrate: Stessa necessità di un testamento specifico per diritti ereditari.
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In sintesi, la principale differenza risiede nel grado di formalizzazione e nelle relative tutele legali che ne derivano. Le convivenze registrate offrono una maggiore certezza giuridica rispetto alle semplici convivenze di fatto, pur non raggiungendo il livello di diritti e doveri delle unioni civili o del matrimonio.​