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La "nuova" Siria

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Ora che il 42enne Abu Mohammed al-Jolani, leader del gruppo armato Hayat Tahrir al-Sham (Hts), è riuscito a cacciare Bashar al-Assad e prendere il controllo di Damasco, la comunità internazionale è in cerca di segnali su come potrebbe essere la nuova Siria sotto la sua guida. Per ora i Paesi occidentali non hanno aperto canali diretti con colui che ambisce a diventare il nuovo padrone della Siria, dopo aver combattuto per 13 anni contro il regime di Assad, anche se alcuni governi si stanno già muovendo per rimuovere al-Jolani e il suo gruppo dagli elenchi delle organizzazioni terroristiche con cui è vietato avere a che fare. Nella sua prima apparizione pubblica dopo la presa di Damasco, al-Jolani ha definito la caduta del regime come una “vittoria per la nazione islamica”.

Al-Jolani ha gradualmente abbandonato il turbante jihadista che indossava all'inizio della guerra, nel 2011, a favore di un’uniforme militare e talvolta di abiti civili. Dopo la rottura con al-Qaeda, nel 2016, ha cercato di smussare la propria immagine e presentare un volto più moderato, senza però convincere realmente gli analisti o le cancellerie occidentali. Nel 2015 ha affermato di non aver intenzione di lanciare attacchi contro l’Occidente, a differenza dello Stato islamico (Is). Quando ha rotto con al-Qaeda, ha spiegato di averlo fatto per “rimuovere i pretesti avanzati dalla comunità internazionale” per attaccare la sua organizzazione. Durante interviste recenti, ha minimizzato riferimenti al jihad globale, puntando invece sulla “liberazione” della Siria e sul ruolo di Hts come forza locale, impegnata a garantire sicurezza e amministrazione a milioni di persone in aree sotto il suo controllo. La logica che lo guida è abbastanza evidente: meno avranno paura i siriani e la comunità internazionale, più lui apparirà come un attore responsabile anziché un estremista e più facile sarà il suo compito. A giudicare dalla sua formazione e dal suo curriculum, però, è lecito avere più di qualche dubbio. Al-Jolani ha capito perfettamente come approcciarsi con le relazioni internazionali. Lui che è un ex qaedista, ex co-fondatore dello Stato islamico in Siria, delegato da Abu Bakr al-Baghdadi, oggi – da jihadista qual è – si presenta come pragmatico. Ma non può essere un pragmatico in quanto guida un gruppo di ex qaedisti – tagliagole, fondamentalisti, radicali – che hanno combattuto 14 anni per imporre uno Stato basato sulla sharia.

Sicuramente la comunità internazionale dovrà interfacciarsi con lui e dovrà verificare se le promesse fatte da Al –Jolani verranno mantenute (rispetto dei diritti delle donne e delle minoranze etnico-religiose, nessuna limitazione delle libertà individuali).

Al-Jolani ha nominato l’ingegnere Muhammad al Bashir capo del governo di transizione. Al Bashir è parte del governo di opposizione siriana che da anni governa la città di Idlib; ha conseguito una laurea in ingegneria elettrica ed elettronica presso il Dipartimento delle Comunicazioni dell’Università di Aleppo nel 2007 e una laurea in Sharia e diritto presso l’Università di Idlib nel 2021. È stato direttore degli affari associativi, poi ha lavorato nel 2022 come ministro dello Sviluppo e degli Affari umanitari nel governo di opposizione. La sua nomina – sempre in chiave rassicurante – è stata decisa direttamente dal capo della cosiddetta Organizzazione per la liberazione del Levante.

Al-Jolani ha promesso una serie di riforme per il bene della “nazione islamica” e di tutti i siriani. Come si comporterà nei confronti delle donne e delle minoranze? “Attraverso l’applicazione letterale e stringente della sharia: questa è la visione di al-Jolani”. E ancora: “parliamo di un islamista vicino alla Fratellanza musulmana, il che vuol dire strettamente legato nella visione ad Hamas, tanto per fare un esempio, e per questo molto vicino alla Turchia

La sua formazione è stata influenzata da eventi come la seconda intifada, l’11 settembre e la guerra in Iraq, la detenzione (sotto gli americani e poi sotto gli iracheni) termina nel 2008. Una volta uscito, entra in quello che è il progetto di creazione dell’organizzazione dello Stato islamico (in quella fase ancora legato all’Iraq). Questo ci porta al 2011, alle rivoluzioni arabe che nel contesto siriano in pochi mesi prendono la direzione di uno scenario di guerra civile”.

È in questo momento che al-Jolani inizia ad avere delle responsabilità di leadership, diventando un punto di riferimento nella creazione di Jabhat al Nuá¹£ra. Il progetto era quello di dare vita a un'organizzazione che si collocasse all’interno dello scontro militare, e quindi della lotta contro Assad, e si ponesse a sostegno delle opposizioni siriane. Siamo in una fase in cui Jabhat al Nuá¹£ra nasce da un doppio filo: è legata ad al Qaeda (c’è una continuità con l’esperienza irachena) e ha dei rapporti molto profondi con l’organizzazione dello Stato islamico in Iraq (foraggia uomini e armamenti). Dal momento della fondazione (2012-2013), diventa una formazione molto importante dal punto di vista della capacità operativa.

“Contemporaneamente, nel 2013, inizia una nuova fase nella storia di leadership di al-Jolani, con la manifestazione di un punto di vista proprio”, spiega Maggiolini. Si aprono gli anni di una querelle tra organizzazione dello Stato islamico e al Qaeda con al Zarqawi. C’è il tema della volontà dell’Is di egemonizzare tutto lo scenario siriano-iracheno e di emergere come paradigma autonomo e alternativo rispetto a quello che era stato fino a quel momento il qaedismo. “Al-Jolani, in qualche modo, si mette in mezzo, provando a svolgere una funzione di mediazione e di raccordo. Questo tentativo poi si complica ulteriormente nel momento in cui lo Stato islamico dichiara la volontà che Jabhat al Nuá¹£ra si disciolga in quello che da quel momento diventa l’organizzazione dello Stato islamico in Iraq e in Siria, con la fusione dei due fronti in un macro campo operativo. Qui si compie un momento importante: con il suo rifiuto, al Jolani dimostra di avere la forza per non venire inglobato dall’Is. La sua leadership conosce un altro momento di crescita e di sviluppo”.

La seconda parte della storia è quella, nel 2016, di denuncia dei rapporti con al Qaeda, della prima rinominazione di Jabhat al Nuá¹£ra. La decisione è quella di aumentare la sfera di autonomia e di recidere ogni tipo di rapporto e di legame

con qualcosa di esterno al contesto siriano. Da una parte, c’è l’idea di territorializzarsi ancora di più, e il cambio di nome lo dice (dal 2017, l’organizzazione si farà chiamare Hayat Tahrir al-Sham, ovvero Comitato di liberazione del Levante). Anche il fatto di aver scelto come nome di battaglia al-Jolani è un riferimento ai fatti politici della Siria, alla questione mai risolta dell’occupazione israeliana delle alture del Golan nel 1967.

Intanto, sul fronte internazionale (e anche italiano), è stato deciso il blocco dell’esame delle richieste di asilo politico dalla Siria. L’Italia si è adeguata a buona parte dell’Unione europea. Dopo la caduta di Assad, molti Paesi Ue hanno deciso di cambiare le politiche d’accoglienza. O meglio, di metterle in stand by, nell’attesa di capire come evolverà la situazione. La prima è stata la Germania, che ospita il più alto numero di rifugiati siriani. Lo stop, però, riguarda solo le domande che sono in corso di esame - in Germania circa 47mila - non i permessi già ottenuti.

I siriani, per molto tempo, sono stati i richiedenti asilo più numerosi all’interno dell’Unione europea. Secondo i dati riportati dall’Ismu, nel 2023 il 32% dei beneficiari dello status di protezione in tutta l’Ue sono siriani e i richiedenti asilo siriani sono al primo posto. In Italia, però, il trend sarebbe diverso: “I richiedenti asilo siriani, afghani e venezuelani non costituiscono i principali in graduatoria, rappresentando meno del 2% dei richiedenti. Nel nostro Paese prevalgono le richieste provenienti da cittadini del Bangladesh, Egitto, Pakistan (le richieste di cittadini di questi tre Paesi insieme costituiscono il 43% del totale), Tunisia, Perù e Costa d’Avorio.

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